Il neonato, questo sconosciuto
Maria Montessori è stata una pioniera anche nel campo dell’approccio al neonato. Oggi si parla tanto di nascita senza violenza grazie al lavoro di Frédérick Leboy che negli anni ’70 diffuse una nuova cultura della nascita e dell’accoglienza al nascituro, ma Montessori circa mezzo secolo prima aveva già espresso concetti simili.
Ecco che cosa ne ll segreto dell’infanzia sul neonato (pp.26- 29): Quando nasceva un bambino tutti si preoccupano della madre: si dice che la madre ha sofferto. Ma il bambino non ha pure sofferto? Si pensa di fare l’oscurità e il silenzio attorno alla madre perché è affaticata. Ma non lo è il bambino? Per lui dunque bisogna preparare l’oscurità e il silenzio. Quel corpo delicato è esposto all’urto brutale delle cose solide: è maneggiato dalle mani senz’anima dell’uomo adulto. Veramente la gente di casa quasi non osa toccarlo perché è tanto fragile: i parenti e la madre lo guardano con timore e lo affidano a mani esperte. Sì, ma quelle mani esperte non sono sovente sufficientemente abili per toccare un essere così delicato… Il medico lo maneggia senza speciali riguardi e quando il neonato grida disperatamente tutti sorridono di compiacenza…
Dappertutto manca ancora la nobiltà di coscienza necessaria ad accogliere degnamente l’uomo che nasce… Il bambino non è compreso degnamente in nessuna parte del mondo… Dal momento della nascita in poi l’animo dell’adulto si esprime sempre su questo motivo: aver cura che il bambino non deturpi, non insudici e non infastidisca. Sì, difendersi, difendersi da lui.
“Il neonato è puro oro spirituale“, ha scritto Deepak Chopra.
Il neonato, piccolo e grande insieme, che nasce già dotato di miliardi di cellule nervose e quindi con uno straordinario potenziale, è ancora oggi un incompreso. Mentre si moltiplicano gli studi sulle sue capacità e competenze, poco cambia nella realtà quotidiana riguardo al suo accudimento.
Oggi sappiamo che è in grado non solo di compiere tutti gli adattamenti necessari per sopravvivere al passaggio da un ambiente acquatico a quello terrestre, ma anche riconoscere il volto e la voce materni dopo le prime ore di vita, distinguere oggetti, esprimere preferenze. Se gli vengono mostrati un disegno geometrico e quello di un volto umano, segue con gli occhi quest’ultimo, ma tra il disegno di un volto e il volto reale della madre non ha dubbi: è questo ad attirare la sua attenzione. Inoltre è dotato di memoria visiva; può ricordare ciò che ha appena visto, tant’è vero che, se gli viene mostrata la stessa immagine per un periodo di tempo prolungato, il suo interesse decresce e mostra di annoiarsi. Se invece, dopo un breve intervallo di tempo, gli viene presentata una figura nuova, la sua attenzione si risveglia.
Eppure continuiamo a trattare il neonato come un bambolotto che non vede, non sente e non capisce, come un tubo digerente da nutrire, non come un essere che prova emozioni, che sogna, che è in grado di instaurare legami. Si è scoperto per esempio che i movimenti del neonato non sono casuali – come parrebbe a prima vista – ma seguono schemi ben precisi con lo scopo di invitare l’adulto a relazionarsi con lui, a rispondere alle sue esigenze.
È sorprendente vedere, osservandolo attraverso speciali riprese filmate al rallentatore, come neonato muova il suo corpo in sincronia con la voce materna, in una specie di danza impercettibile. Il che dimostra che è in qualche modo programmato per reagire alla voce umana. È fin dall’inizio un “essere di linguaggio”.
Non solo pianto
Altro suo potente mezzo di comunicazione è il sorriso. Ci sono neonati che sorridono fin dalle prime ore di vita. Se il sorriso passa inosservato, se non suscita alcuna reazione perché interpretato come una smorfia o un riflesso muscolare, difficilmente verrà ripetuto dal bambino nel corso delle prime settimane, cosicché tutti rimangono convinti che un neonato non sorrida volontariamente che al termine del secondo mese. Il fatto è che senza riscontro il dialogo avviato si interrompe per mancanza di interlocutori.
Il neonato è inoltre capace di riprodurre una vasta gamma di espressioni del viso, quasi tutti i segnali emotivi dell’adulto: può imitarlo quando questi gli fa la linguaccia e non è infrequente scorgere sul volto di un piccolo espressioni comunemente usate da qualche membro della famiglia.
Un lungo discorso potrebbe essere fatto sul significato del pianto in un neonato. Diremo solo che non piange unicamente per fame, come spesso si crede, per dolore o per fastidio: il più delle volte piange per bisogno di contatto, di calore umano, di contenimento. Dopo nove mesi passati nello spazio ristretto dell’utero ha bisogno di ritrovare un confine attorno a sé, di sentirsi contenuto; ha bisogno di rivivere le rassicuranti esperienze intrauterine del dondolìo del battito del cuore materno. Di qui l’importanza, in tutte le culture, di gesti quali cullare il bambino tra le braccia, cantandogli una ninna-nanna per farlo addormentare.
Ma il neonato piange anche per noia, per deprivazione sensoriale. Scrive la Montessori: Se il bambino, fino dalla nascita, deve creare a spese dell’ambiente, dovrebbe essere messo a contatto del mondo, della vita esterna degli uomini. Dovrebbe partecipare, o meglio assistere, alla vita degli adulti… Se il bambino è un recluso nelle nurseries, sottratto alla vita sociale, egli verrà represso, menomato, deformato…
Non è quindi un caso se “oggi, tra tante cure igieniche, tra tanto riposo dei bambini, condannati quasi sempre a dormire, cresce a dismisura in numero dei bambini difficili”. Ciò non significhi però bombardare il bambino di stimoli continui: esporre un neonato o un bimbo di pochi mesi a musiche assordanti, rumori forti e per lui spaventosi, stimolarlo continuamente con immagini, vezzeggiamenti o attività programmate significa disturbarlo.
Il pianto – dice ancora Montessori – esprime un malessere reale che turba il suo animo. Per costruire la sua vita interiore il bambino ha bisogno di pace e di tranquillità. Noi invece lo disturbiamo continuamente con il nostro intervento brutale. In più si abbatte su di lui una valanga di impressioni che si susseguono con rapidità tale da non lasciargli il tempo di assimilarle. Allora il bambino piange come quando un pasto eccessivo gli provoca difficoltà a digerire. Se lasciamo che il bambino asciughi da solo le sue lacrime trascuriamo i suoi veri bisogni. La ragione essenziale del suo pianto ci sfugge perché troppo sottile e tuttavia è in essa che si trova la spiegazione di tutto.
L’articolo è tratto dalla rivista “il quaderno Montessori”, autunno 2003.