Continua la riflessione sull’importanza del metodo Montessori applicato anche all’educazione degli adolescenti. Ecco un altro estratto dal discorso tenuto da Vittorino Andreoli al Congresso “Maria Montessori: una moderna proposta educativa”. In questo caso si parla del gruppo e della ricerca di appartenenza tipica dell’adolescenza.
“Il gruppo : La prima riflessione che si impone è profonda. Molto del mondo degli adolescenti va riportato a questa parola chiave, al contrario dell’infanzia in cui l’attenzione è centrata sull’individualità. Per gli adolescenti urge affrontare in maniera stringente il problema del gruppo che è una loro “invenzione”. Non è suggerita dall’esterno, ma è un bisogno che diventa persino un luogo: il gruppo ha anche un suo posto specifico nella città, magari davanti a un bar o vicino a una cabina telefonica. E’ il bisogno di trovarsi con persone uguali a te; è la necessità di guardare l’altro vedendo te stesso, soprattutto di guardare uno che, vivendo la tua esperienza, evita le domande che gli “ominidi”, ossia gli adulti, gli rivolgono di continuo. Gli adolescenti si sentono sotto processo, quando stanno con chi non li capisce, gli “extraumani” che domandano: Dove vai? Cosa fai? Con chi stai? Insomma quella specie di interrogatorio che non avviene nel gruppo dei pari età: qui non si va per fare qualche cosa, ma per essere liberi da un continuo giudizio e controllo, dal continuo sentirsi diversi. Lì si percepiscono uguali.
Il dramma dell’adolescente che deve uscire per andare nel gruppo è: che cosa mi metto? E finisce con una omologazione: si vestono tutti nello stesso modo. Così nasce il problema di avere il ventesimo paio di scarpe, che i genitori non vogliono comprare, perché le altre vanno ancora bene. Nella logica di quell’adolescente, manca un piccolo segno, una griffe che le scarpe del resto del gruppo hanno. E il padre, la madre devono capire che il loro adolescente, senza quel segno, si sente diverso rispetto al gruppo che lo rassicura, gli dà la sensazione di essere capito.
Di recente abbiamo condotto uno studio, per ascoltare i discorsi di un gruppo che si ritrovava vicino ad una cabina telefonica. Il risultato è stato interessantissimo. Spesso si pensa: chissà mai cosa si diranno? E invece, nel gruppo, domina il silenzio. La cosa sconvolgente è che non dicono niente e stanno ore e ore parlando pochissimo. La loro sicurezza non deriva da ciò che dicono, ma dallo stare con persone che, pur non esprimendosi, ma, essendo come loro, si capiscono.
Per la centralità che ha oggi nell’adolescenza, il tema del gruppo dovrebbe stimolare la cultura montessoriana. Un pensiero forte come quello della Montessori deve aprirsi a questa dimensione dell’adolescenza ed essere messo a disposizione di una fase di età così importante e complessa; perché questo avvenga, occorre una scuola montessoriana di studiosi che analizzino, con la mentalità scientifica cui lei era molto legata, quale scuola creare, per aggiungere e adattare alle esigenze del presente il suo pensiero. E ci vuole amore, certo, ma scienza e amore stanno insieme benissimo.
Permettetemi un esempio che riguarda un altro personaggio di fine Ottocento che ha influenzato profondamente la cultura del Novecento: Sigmund Freud. Se Freud non avesse generato una scuola, oggi la psicoanalisi freudiana non esisterebbe. Molti degli assunti, dei cardini pensati da Freud sono considerati sorpassati, a cominciare dal complesso di Edipo, allora elemento sostanziale, addirittura universale cui nessuno più crede. Eppure la scuola freudiana è fondamentale, perché permette di riportare, in quel filone di studi promosso dal maestro, valutazioni con cui la storia impone di confrontarsi, non esistenti prima ma che, con tutta probabilità Freud stesso suggerirebbe di analizzare.
La scuola attuale per gli adolescenti non riesce a fare gruppo, perché, come diceva Montessori, è fatta di giudizi, di gerarchie, è fatta per premiare o per punire. Mi auguro che questo movimento sia capace di sviluppare al proprio interno una scuola montessoriana, che porti avanti il pensiero e lo interpreti, oserei dire, ufficialmente. Le mie sono domande, il mio ruolo qui è di sollecitare riflessioni.
Questa è, dunque, la prima: l’adolescenza come età della metamorfosi ha bisogno di una microsocietà di pari per acquietare un’ansia che potrebbe essere distruttiva”.