Chi lavora con il metodo Montessori è più di cento anni che lo dice: smettiamola di trasformare la scuola in una continua caccia agli errori, umiliando sempre chi sbaglia, non aiutando gli allievi nell’autocorrezione e, soprattutto, non dandogliene gli strumenti.
Non c’è essere umano che sia giunto a un’idea geniale, una scoperta o a una creazione di qualsiasi natura senza aver prima vissuto una serie – più o meno pesante – di insuccessi. Galileo, il grande genio del 1600 che ha rischiato il rogo per affermare i movimenti della Terra, diceva: si procede per prove e tentativi. Come ogni bambino che comincia a parlare o a camminare, come ogni cuoca alle prese con la torta perfetta o il musicista che cerca il suono migliore.
Nel luglio 2011 lo ha affermato a chiare note anche uno straordinario Festival dell’errore che si è svolto a Parigi, che ha lanciato ai ragazzi il messaggio di non aver paura di dire stupidaggini e non avvilirsi di fronte agli errori: capire dov’è lo sbaglio, concentrarsi per evitarlo, senza per questo tacere, evitare il confronto prediligendo la discussione, la difesa delle proprie idee.
Girolamo Ramunni, il professore che volle questa grande manifestazione, ricordava ai più giovani che non c’è invenzione o prodigiosa intuizione che non abbia alle spalle una gigantesca catasta di conclusioni sbagliate. Anzi, la risposta errata ha spesso in serbo un potenziale fecondo per successi futuri.
Uno dei più grandi scienziati della storia umana recente, Albert Einstein – da ragazzino un dislessico considerato alquanto deficiente – ha lasciato 180 articoli scientifici di cui una quarantina contengono errori significativi. E allora? Vogliamo ricordare a quante scoperte si è giunti per caso o – come nel caso della penicillina – perché il suo scopritore aveva commesso un errore nel protocollo previsto?
Il guaio è che, purtroppo, la consapevolezza di tutto ciò non protegge i ragazzi dal sistema feroce che blocca la creatività e la libertà di pensiero: quello per cui – dice ancora Ramunni – l’insegnamento si limita alla ripetizione passiva di nozioni esatte, inalterabili e, spesso, a punire chi sa non ridirle allo stesso modo.
A scuola si oscilla tra posizioni diverse: c’è il maestro che ama i bambini e li accoglie insieme ai loro errori e nello scambio felice insegna a non averne paura e quindi a evitarli; c’è il maestro ossessivo, perfezionista che, per malinteso desiderio di ordine, uccide la relazione con i suoi allievi; ecco il maestro disordinato, indifferente che non prova alcun piacere nel vederli crescere con sicurezze progressive e quindi non sa correggere e tanto meno aiutarli nella loro indipendenza. Al di là delle tante sfumature possibili, mettere sotto accusa, giocare di continuo a: “Ti ho beccato!”, “Sei proprio un buono a nulla!” o “Ti boccio!”, sono le forme ricorrenti e maggiormente diffuse del malcostume didattico.
Montessori si distanzia anni luce da questo, a patto che non venga fraintesa, che non si scambi il rispetto e la delicatezza con cui vanno trattati bambini e ragazzi con un colpevole lasciar correre, senza indicare con chiarezza come si fa in un ambiente ordinato (dall’adulto) a mantenere l’ordine, come si usa un libro o un qualsiasi apparecchio. Ogni volta ci può essere un momento di presentazione, come quando si presenta una persona ad un’altra, ma poi i bambini devono essere liberi di provare, di cercare proprie strade nelle tante possibili alternative. Non si tratta tanto di suggerire “trucchi” per controllare le proprie azioni e le loro conseguenze, quanto di dare gli adulti per primi esempio di calma , autocontrollo, capacità di riconoscere davanti agli altri – e in particolare gli allievi – i propri errori. Queste modalità di intervento, assai diverse per mezzi e parole a seconda delle età dei minori di cui ci si occupa, esige studio approfondito, capacità di autoanalisi e grande maturità professionale.
Sono modalità, com’è noto, piuttosto rare nel mondo della scuola e non solo, ma non è difficile acquisirle!
(a cura di Grazia Honegger Fresco)