È opinione comune e piuttosto radicata che, per poter crescere e svilupparsi pienamente, il bambino necessiti di essere adeguatamente stimolato. È certamente vero che i primi anni di vita rappresentano un periodo estremamente importante e fertile, un intervallo di tempo in cui si gettano le basi per tutti gli apprendimenti futuri. Occorre però operare una riflessione circa cosa significhi “stimolare” un bambino e quali effetti questo comporta.
In una società frenetica ai limiti del patologico, in cui gli individui sono spinti al consumo veloce e alla competizione continua, anche i bambini finiscono inevitabilmente per divenire oggetto di un vero e proprio bombardamento massiccio e continuo di stimoli.
Già a pochi mesi si ritiene che possano annoiarsi se non gli si offrono continuamente nuovi oggetti da toccare o guardare. Vengono messi seduti precocemente con supporti vari e gli si propinano giocattoli di plastica dalle mille luci, suoni e colori, nell’idea che essi siano più ricchi e dunque funzionali allo sviluppo. Insomma, gli si offre troppo e troppo presto, senza preoccuparsi adeguatamente della loro effettiva capacità di elaborare e “digerire” una tale quantità di stimoli.
Ecco dunque che un proposito positivo rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio, con ripercussioni anche gravi sulla crescita dei più piccoli. Sono diversi, infatti, gli studi che associano l’iperstimolazione precoce a ipercinesia, irrequietezza, difficoltà di attenzione e concentranzione. L’eccessiva e ripetuta fruizione di stimoli infatti rende necessarie continue nuove stimolazioni affinché l’attività cerebrale si mantenga adeguata.
Di cosa ha bisogno la mente del bambino?
Maria Montessori definiva la mente del bambino ‘mente assorbente‘, in quanto essa possiede lo straordinario potere di assorbire in maniera inconscia gli elementi presenti nell’ambiente di vita. Fin dalla nascita, ogni volta che il bambino compie un’esperienza (ad esempio guardando, toccando o assaggiando un oggetto) nel suo cervello si lavora alla creazione di milioni di connessioni che costituiranno la sua ‘carne mentale’, gli strumenti cognitivi e comunicativi che lo renderanno un adulto consapevole. Il compito dell’adulto non si può però ridurre all’offrire al bambino un ambiente ricco, ma concerne anche il prestare attenzione alla tipologia e alla qualità delle proposte!
Innanzitutto, possiamo decisamente affermare che tanto più il bambino è piccolo, tanto meno risulta valido il principio secondo cui “molto è meglio“. Ad esempio, offrire ad un piccolo di pochi mesi giochi pieni di luci, pulsanti, immagini e suoni, comporta una quantità di stimoli eccessivamente superiori a quelli che egli può tollerare ed elaborare in relazione alla sua età. Ciò che serve davvero loro è amore, attenzione, contatto umano sincero e risposte adeguate ai propri bisogni. Risposte che possono giungere solo da un osservazione puntuale, attenta e non giudicante.
Fin da piccoli, offriamo loro oggetti semplici, materiali che consentano di esercitare la motricità, il problem solving, il pensiero logico e, naturalmente, l’interazione con l’altro (fondamentale ad esempio per lo sviluppo del linguaggio, che molte ricerche hanno dimostrato essere deprivato proprio a causa dell’utilizzo di troppi giocattoli elettronici, che spingono il bambino ad un uso passivo dell’oggetto).
Possiamo quindi affermare che “stimolare” non costituisce una pratica ottimale laddove con essa si miri ad accelerare lo sviluppo infantile, sollecitando insistentemente il bambino con attività e materiali affinché acquisisca certe abilità in anticipo o impari di più.
Tratto da: Aiutami a fare da me