Sono molti i genitori (talvolta anche educatori e maestri) che, scontenti di quello che vedono e preoccupati per ciò che sentono circa la scarsa attenzione ai bisogni dei bambini, ci chiedono come trovare soluzioni alternative.
Risposta non facile. C’è chi decide di farsi maestro dei propri figli, ma è una soluzione piena di rischi (adulti nel doppio ruolo, bambini privati di relazioni e di confronti/scontri con i coetanei…).
Prima di tutto bisognerebbe non trovarsi soli in una tale scelta: il problema è solo nostro o ci sono altri genitori in analoga ricerca? Quali strade si possono percorrere per incidere sulla struttura pubblica, per avere più dialogo con i maestri? Lo sappiamo, troppi genitori si sentono impotenti davanti a tale prospettiva e preferiscono rinunciare…
Seconda domanda: siamo proprio certi che nel circondario non ci siano educatrici e maestre attente ai bambini, appassionate nel loro lavoro? Occorre indagare con pazienza e senza pregiudizi, visitare scuole, parlare con direzioni e docenti, conoscere non superficialmente la situazione, facendo attenzione agli ingredienti di qualità. Di maestri bravi e coscienziosi ce ne sono tantissimi, si tratta di individuarli e valorizzarli.
Terza domanda: scuola pubblica o privata? Intanto, che il privato sia a priori migliore del pubblico non è affatto vero. Privato come? Retto da chi? Con quali scelte di fondo? Se sono ideologiche, religiose o puramente commerciali è dubbio che un nido o una scuola siano dalla parte dei bambini.
Nemmeno la dimensione può essere di per sé un fattore rassicurante. Ci sono nidi-famiglia per pochissimi bambini, spesso improvvisati perché creati da persone che, senza una seria professionalità, risolvono così loro problemi di lavoro. Tale modello non sempre dà garanzia circa la qualità professionale degli adulti, partendo forse dall’idea che qualunque donna in quanto tale sappia stare con i bambini, per di più piccoli, in realtà si accettano improvvisazioni assai dubbie.
Diffusa anche la moda dei Nidi “chiavi in mano”: spesso la qualità è anche qui di facciata e ha un tono di moderno che non è detto corrisponda ai piccoli. In molte situazioni in una struttura pubblica, soprattutto se comunale, c’è più controllo e gli educatori sono spesso sollecitati a verificare le proprie azioni e invitati a esperienze di formazione.
Quanto alla scuola infantile o elementare, nei vari opuscoli distribuiti si illustrano i cambiamenti organizzativi, gli anticipi, le materie che si aggiungono, la presenza di un maestro tutor (che farà realmente?), ma non c’è una sola parola per rassicurare i genitori sulla qualità dell’insegnamento, anzi sulla qualità delle relazioni che dovrebbero instaurarsi nella scuola. Si dà per scontato che si debbano insegnare certe materie, con un carico di informazioni sempre maggiore per i bambini, ma il come è, ancora una volta, facoltativo, lasciato alla buona volontà di maestri e professori e al loro equilibrio mentale.
Questo sarebbe sì il vero cambiamento e invece si accentua il tono meritocratico che la scuola ha sempre avuto, basato sui giudizi, sui voti e ora, a partire dalla scuola infantile, sul portfolio (raccolta di “materiali, prove scolastiche, commenti di docenti e genitori che documentano il percorso seguito e le competenze acquisite ai fini sia della valutazione sia dell’orientamento“). Del resto è ovvio che sia così, data l’intenzione di trasformare l’educazione in “produzione” e l’intero edificio formativo in “azienda”.
Il come è dunque casuale: importante è l’efficienza. Non una parola su un’impostazione attiva dell’insegnamento, sull’integrazione di bambini svantaggiati, sul modo selvaggio con cui si consumano quasi ovunque i pasti (scuola elementare e media). Si parla tanto di continuità, ma il poco che si fa è spesso solo di facciata.
È ovvio che tanti genitori siano scontenti, sfiduciati, che i bambini amino sempre meno la scuola, costretti da montagne di compiti assurdi; la sopportano, imparano se hanno docenti degni di questo nome e se trovano a casa un sostegno. Il caso o, meglio, come si dice di solito, la fortuna presiedono la buona o la cattiva scuola!
Ma torniamo al tema iniziale: genitori che con sofferenza, diffidenza, tanti dubbi accompagnano i figli a scuola. Ci sembra importante non demolire l’immagine del docente, non criticare gratuitamente, ma al tempo stesso non colludere con le ingiustizie, cercare di capire, discutere con l’insegnante se necessario, cosa che i genitori evitano nel timore che il maestro o il professore risentiti, si “vendichino” sull’allievo. Ma se una cosa è davvero sbagliata, perché far finta di nulla? A vantaggio di chi? Potrà comunque il bambino sentirsi protetto?
Una mamma racconta che alcuni ragazzini hanno ricevuto scapaccioni ed epiteti umilianti dalla maestra. “Al mio non è toccato, però ora ha paura”. Le dico se sa che è tassativamente proibito. Lo sa.
“Ne ha parlato con i genitori dei bambini?”
“Sì, a fatica: due non avevano detto nulla, uno le prende d’abitudine da suo padre, il terzo soltanto si era lamentato, ma la madre sostiene: Gli sta bene se non obbedisce! Vede, è tutto inutile. Lo so, è collusione, è omertà, è pessimo esempio per i bambini, ma che cosa si può fare?”.
C’è però il problema opposto. L’atteggiamento supponente di chi, invischiato in psicologia da strapazzo, demolisce il professore o il maestro agli occhi del figlio, autorizzando questi alla sfida e alla maleducazione. Bastano poche famiglie di questo tipo per rendere invivibile la vita di una classe e difficilissimo il compito dei docenti per cui, già dalla materna si ricorre allo psicologo! I migliori tra gli insegnanti – quelli in grado di appassionare ragazzini tanto disincantati e annoiati – riescono a superare l’attacco; altri, più fragili, incerti o meno competenti, soccombono. L’istituzione dà loro informazioni, nozioni, diplomi ma non insegna minimamente a insegnare.
La strada migliore, se un vago suggerimento si può dare, è quello di agire con onestà e con chiarezza, insieme ad altri, senza accusare a vuoto, cercando non il conflitto, ma il confronto.
Chiara Comberti