Riproponiamo un estratto della testimonianza di Vanna Saccardo in tema di bambini “anticipatari”: e se provassimo ad ascoltarli invece che agire semplicemente da burocrati?
Lo scorso anno Andrea a 2 anni e mezzo (un anticipatario, come usa dire) comincia a frequentare una scuola dell’infanzia comunale. L’ambientamento va bene e per tutto il primo anno non ci sono problemi, complice forse il fatto che la sorella di 5 anni frequenta la stessa scuola.
A fine anno le maestre chiedono alla madre se pensa di far frequentare il bambino per tre o per quattro anni: nel caso avesse deciso per i quattro (evitando così l’ingresso alla primaria a 5 anni e mezzo) sarebbe stato meglio che frequentasse due anni dai piccoli piuttosto che dai grandi, dove avrebbe rischiato di annoiarsi. La mamma non sa cosa rispondere: conosce bene suo figlio come è ora, ma non può prevedere come sarà tra due anni, né sa come è a scuola. Ma intanto loro che cosa pensano? La risposta è che Andrea è molto “autonomo” nelle attività, sa incollare, ritagliare, va in bagno da solo, gioca bene con i compagni, ascolta l’adulto, ma ancora non parla bene. Per questo motivo e per evitare che si annoi quando avrà cinque anni e mezzo dovendo restare due anni nella sezione grandi, è meglio che resti dai piccoli. Valuteremo a gennaio se passarlo nei medi.
La madre, ignara dei reali contenuti del discorso e delle assurdità che esso nasconde, si fida di ciò che dicono le maestre. Quando Andrea inizia la scuola la sorella è passata alla primaria, i suoi compagni sono tutti nel gruppo dei medi e lui è rimasto con i piccoli, peraltro sconosciuti.
A distanza di un mese comincia a mandare i primi segnali negativi:
- non ha mai fatto fatica a salutare la mamma, ora trattiene il pianto;
- la sera chiede sempre: Domani c’è scuola? e quando gli dicono di sì, risponde: ma io ho il mal di pancia;
- a casa racconta che la maestra gli dice che è piccolo;
- davanti a un foglio bianco che ha sempre riempito di colori fa un disegno piccolissimo al centro senza niente intorno;
- il papà gli ha regalato un palloncino, ha voluto attaccarlo al suo letto dicendo così mi fa compagnia.
La madre parla di tutto questo con le maestre: secondo loro a scuola Andrea è tranquillo, solo triste al mattino perché la sorella non c’è. Poi le chiedono se vuole farlo passare subito dai medi, perché a gennaio diventerebbe un trauma. Il motivo non viene spiegato.
Viene da chiedersi:
- quale criterio pedagogico ha spinto le maestre a togliere ad Andrea un punto di riferimento importante come i compagni, pur sapendo che avrebbe “perso” la sorella?
- Se Andrea ha realmente difficoltà di linguaggio, come può migliorare in una gruppo di bambini di un anno più piccoli di lui tanto più dicendogli, a parole e a fatti, che è piccolo?
- Che cosa avrà significato per lui passare ai medi in ritardo?
- Perché dovrebbe annoiarsi a cinque anni? Forse c’è fin da ora un programma prestabilito uguale tutti gli anni, oltre il quale non si può andare?
- È corretto decidere a priori se dovrà o no passare alla primaria a 5 anni e mezzo? Giustamente la madre dice di non poter prevedere come sarà il suo bambino a quella data.
Davanti a casi come questo bisognerebbe cominciare a riflettere sul senso di una rigida divisione per età anagrafica persino in una scuola dell’infanzia.